L’Italia di Teoderico tra Roma e Costantinopoli

Sul perché l’Occidente non fece fronte alle invasioni barbariche, a differenza dell’Oriente e sull’ambiguità della labile alleanza tra Costantinopoli e gli Ostrogoti di Teoderico, nonché sulla finale guerra aperta di Teoderico all’aristocrazia filobizantina, di contro all’iniziale collaborazione romana

In Occidente, da Stilicone in poi, si ricercò una politica conciliante con i barbari che, man mano, venivano vinti. L’evitare il massacro dei vinti sarebbe poi costato a Stilicone l’accusa di accondiscendenza coi barbari e, conseguentemente, la di lui condanna a morte.

In Oriente, invece, prevalse la linea intransigente contro i Germani: proprio mentre (tra il finire del IV e l’avvento del V secolo) l’orda dei Visigoti si riversava in Italia (e per arginare la stessa, Roma si vedeva costretta ad inserire i barbari all’interno del suo stesso esercito), a Costantinopoli trionfava l’intransigenza antigermanica che portò al massacro di migliaia di Goti, nonché all’organizzazione dell’esercito “bizantino” in modo che i soldati germanici (pur in esso inclusi) fossero esclusi dalla possibilità di carriera militare e fossero concentrati in reparti omogenei (dal punto di vista etnico) facilmente controllabili dall’amministrazione romano orientale.  Proprio il contrasto tra le due linee direttive avrebbe portato all’evidenza la linea “morbida” adottata da Stilicone, causando la di lui rovina.

Con il “successore spirituale” di Stilicone, ovvero Ezio (che, alla stregua del suo predecessore, pur essendo di origine barbara difendeva i confini di Roma, aprendosi all’inclusione dell’elemento barbaro nell’esercito romano stesso), l’impero d’Oriente e quello d’Occidente si riavvicinarono, anche grazie alle relazioni tra i rispettivi personaggi di spicco, Teodosio II per l’Oriente e Galla Placidia per l’Occidente, ma con l’assassinio di Ezio, l’Italia si ritrovò a mezza via tra l’ingerenza di Costantinopoli e l’elemento barbaro ormai inevitabilmente consolidato, tutto ciò portò alla graduale e irreparabile frattura tra Oriente e Occidente.

Mentre in Occidente si sviluppò, nel corso del V secolo, il distacco tra la potenza dei dittatori militari e la grandezza dei principi, in Oriente la politica antigermanica impedì di ricorrere, così sovente come in Occidente, ai comandanti di origine barbara (in particolare alani). Anche in Oriente tuttavia si fu costretti ad accogliere folte genti ostrogote sul Danubio, ma Costantinopoli reclutò milizie isauriche (Asia Minore meridionale) per arginare il pericolo delle invasioni. E isaurico fu proprio lo stesso Zenone, che prima liberò la penisola balcanica dagli Ostrogoti combattendo proprio contro il loro re, Teoderico, poi, divenuto genero dell’imperatore d’Oriente, gli succedette al trono. Quando Zenone sconfisse Teoderico, lo orientò, nel 489, verso l’Italia, contro Odoacre: si concludeva, così, quel movimento circolare principiato un secolo prima, che aveva visto i Visigoti devastare la penisola balcanica per poi orientarsi verso l’Italia, e che ora terminava con la liberazione dei Balcani dagli Ostrogoti, i quali venivano avviati verso l’Italia dai loro vincitori, gli isaurici-romani d’Oriente. Zenone era sì un barbaro, nonostante l’Oriente avesse attuato una politica apertamente anti barbara, ma era un barbaro “interno”, legittimato ad assumere la porpora imperiale dal retroterra ellenistico da cui proveniva, preludendo, in un certo senso, alla rinascita di Roma.

Dopo la conquista di Giustiniano, i funzionari Ostrogoti furono coperti da “cortine” nei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

Divenuto re degli Ostrogoti nel 474, Teoderico sostenne, dal 476, l’imperatore Zenone che lo aveva risparmiato: in cambio ottenne un’alta carica militare e l’ammissione dei Goti nelle truppe federate (pur coi criteri di compattezza e controllo in vigore nell’esercito romano d’Oriente). Da sconfitto ad alleato, Teoderico vide Zenone rivolgersi a lui nel 489, affinché mettesse in marcia 100 mila Ostrogoti dai Balcani verso l’Italia. Con esiti alterne nella guerra contro Odoacre per la conquista dell’Italia, Teoderico alfine condusse la vittoria sui Goti, anche grazie alla mediazione del vescovo di Ravenna, Giovanni. Il re degli Ostrogoti entrò in Ravenna il 5 marzo del 493 e pochi giorni dopo invitò lo sconfitto Odoacre ad un banchetto, al quale il Goto si presentò volutamente disarmato. Qui, secondo la narrazione di Ennodio da Pavia, due Ostrogoti soggiunsero e si prostrarono ai piedi di Odoacre, prendendogli le mani, in segno di postulanti. Al segnale convenuto, gli uomini d’arme di Teoderico circondarono l’ospite, sinché Teoderico stesso non giunse e, impugnando una spada, “tagliò dalla spalla alla clavicola” il re nemico, che crollò, incredulo, sotto i suoi occhi. Uccidendo il proprio ospite, Teoderico avrebbe esclamato “questo mostro sembra fatto senz’ossa”.

Odoacre e Teoderico in una miniatura medioevale

Teoderico si chiamò “re dei Goti e console dei Romani”, ottenendo, solo cinque anni dopo la sua impresa, dal nuovo imperatore d’Oriente, Anastasio, il riconoscimento del proprio potere sull’Italia. Come già aveva fatto Odoacre, Teoderico conservò le strutture interne dello stato romano, pur rivendicando con forza il ruolo istituzionale del dominio ostrogoto sull’Italia. Inizialmente Teoderico si mostrò molto astuto e conciliante con la simbiosi che gli si presentava davanti: egli, che pure era ariano, omaggiò San Pietro e la chiesa cattolica di Roma, pur instaurando la capitale del proprio regno a Ravenna.

medaglione di Tedoerico, re degli Ostrogoti
Tomba a Pavia del martire Severino Boezio

Sotto Teoderico i romani di nobili origini potevano aspirare all’amministrazione dello Stato, ma solo se coadiuvato (e controllato) dai funzionari ostrogoti del re. I Romani, inoltre, non potevano avere accesso all’amministrazione del tesoro reale o alla sorveglianza della camera del sovrano. L’esercito, inoltre, era ormai appannaggio degli Ostrogoti e non più degli autoctoni italici: la spina dorsale del Regno Ostrogoto era costituita da diverse migliaia di Ostrogoti, nonché da diverse tribù germaniche minori, in linea di principio i romani erano esclusi dalla carriera militare. I Romani furono inoltre costretti a cedere agli Ostrogoti (come già avevano ceduto ai Goti) un terzo delle loro proprietà terriere, anche se Teoderico limitò le usurpazioni delle sue genti con diversi editti. Per diversi anni Teoderico ottenne l’appoggio del Senato di Roma, riuscendo a regnare garantendo la pace (anche sociale, tra i proprietari romani e i nuovi ostrogoti), ben sapendo che il proprio Regno Ostrogoto avrebbe continuato ad ottenere la propria ragione di esistenza solo se Costantinopoli avesse cessato le proprie ingerenze.

Erano infatti anni di labili alleanze di durata decennale, intessute da protagonisti privi di scrupoli: così come la Costantinopoli di Zenone aveva dapprima riconosciuto Odoacre come legittimo patrizio romano, per poi inviargli contro Teoderico affinché lo sconfiggesse, ora c’era d’aspettarsi che i successori dell’imperatore d’oriente isaurico facessero altrettanto con Teoderico, il quale, proprio per evitare ciò, intessè alleanze coi sovrani dei regni romano germanici da poco sorti, dando in sposa la propria sorella Amalfrida al re dei Vandali Trasamundo, l’altra sorella Thindigota al re visigoto Alarico II (che egli stesso aveva sconfitto), e altre donne della sua famiglia ai re di Turigini e Burgundi.

Teoderico regnava sull’Italia già da 30 anni, quando le tensioni tra Ostrogoti e Romani si acuirono (complici ma non unici i rapporti tra cristiani cattolici e ariani); il Senato di Roma cercava infatti di concordare con Costantinopoli, una successione di nuovo “romana” al regno Ostrogoto di Teoderico, suscitando una forte reazione nella politica Ostrogota alla corte di Ravenna. Nella situazione nuovamente tesa all’interno dell’Italia stessa si consumò la tragedia del “Socrate del Tardoantico”, ovvero di Severino Boezio, filosofo e matematico d’alto prestigio, proveniente da un’antica famiglia romana (imparentato coi SImmachi, famiglia di stampo conservatore già al tempo di Rutilio Namaziano, un secolo prima). Boezio si espose per difendere un collega, Albino, il quale era stato definito da Cipriano (un altro nobile romano), in combutta con l’imperatore d’Oriente. La difesa da parte di Boezio di Albino, contro le calunnie di Cipriano, costò a Boezio la vita: Teoderico lo intese quale colpevole e traditore, accusandolo di voler “liberare Roma” dai mai accettati Ostrogoti, in virtù dell’Oriente ancora d’appannaggio Romano. Condannato dallo stesso Senato, agli ordini ormai di Teoderico, Boezio, dopo diversi anni di dura prigionia, fu condannato a morte a Pavia. Con lui morirono anche il senatore Simmaco (genero di Boezio) e addirittura papa Giovanni I. solo due anni dopo, per cause naturali, anche Teoderico moriva. Era il 526 e il suo lungo regno si era concluso con troppi fatti di sangue avversi all’aristocrazia romana, sorti da una violenta precauzione nei confronti di un eventuale intervento bizantino. Nella versione narrata da Papa Gregorio Magno, Tedoerico, soggiunto all’inferno, viene scaraventato nel cratere di un vulcano dalle anime di Simmaco e di papa Giovanni.

Alla morte di Teoderico, sua figlia Amalasunta fu resa reggente in nome del figlioletto Atalarico. La regina tentò di intessere accordi tra Ostrogoti e Bizantini (ponendosi in contatto diretto con il nuovo imperatore d’Oriente, Giustiniano), nella disperata prevenzione di una guerra, ma gli Ostrogoti stessi, vedendo in lei una prosecutrice della linea filo romana (che persisteva anche dopo la condanna a morte di Boezio e Papa Giovanni), ordirono una congiura, che portò all’assassino della regina stessa, nel 535.

L’assassinio di Amalasunta fornì a Giustiniano il motivo per strappare l’Italia all’ormai mal sopportato dominio Ostrogoto e porla sotto il comando di Costantinopoli. Tra Belisario e Totila prima, e Narsete e Teia poi, rispettivamente bizantini e ostrogoti, s’intessé la quasi ventennale guerra greco gotica che dilaniò l’Italia, e che si sarebbe conclusa, nel 553, con la vittoria bizantina ai Monti Lattari (Sorrento), ma alla quale, nel 568, sarebbe conseguita la discesa, nella penisola, di un’altra potenza, nuova padrona dell’Alto Medioevo: i Longobardi.

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