Breve storia dei Bizantini in Italia

Dal 13 agosto 554, data della pragmatica sanctio di Giustiniano promulgata su richiesta di Papa Vigilio, l’Italia rientrava nel dominio romano.

Giustiniano aveva riconosciuto le concessioni attuate dai re goti fatta eccezione per il “nefasto” Totila e aveva promesso fondi per ricostruire le opere pubbliche distrutte o danneggiate durante la guerra greco gotica.  

Il generale vincitore della guerra, Narsete, rimaneva ancora in Italia, riorganizzando anche l’apparato difensivo, amministrativo e fiscale.

L’Italia venne divenne una Prefettura, suddivisa in due diocesi, a loro volta suddivise in province, senza includere, però, la Sicilia e la Dalmazia (la prima veniva, infatti, governata da un pretore dipendente da Costantinopoli, la seconda, invece, veniva aggregata alla Prefettura dell’Illirico).]La Sardegna e la Corsica, invece, facevano già parte, fin dai tempi della guerra vandalica (533-534), della Prefettura del pretorio d’Africa.

L’Italia versava in totalità nella più completa desolazione, come documenta una lettera di Papa Pelagio del 556. («le campagne… così desolate che nessuno è in grado di recuperare»), decadenza che si concluse con il definitivo scioglimento del Senato Romano all’inizio del VII secolo.

La fiscalità bizantina opprimeva le genti, avendo ancora in vigore, sin da Diocleziano, la iugatio-capitatio, provvedimento che stabiliva, infatti, in anticipo, l’ammontare della cifra che i cittadini dovevano pagare, senza però tener conto delle devastazioni ad opera degli invasori e delle carestie.  Nel 542 inoltre seguitò la peste, che dilaniò ulteriormente la Penisola.

Durante il dominio bizantino non furono rari episodi di funzionari corrotti, che estorcevano alla popolazione più del dovuto per arricchirsi a spese dei sudditi e dello stato, al punto che, scriverà molto più tardi Paolo Diacono, le genti italiche si lamentavano presso  l’imperatore Giustino II, sostenendo che fosse addirittura meglio sottostare alla dominazione gota piuttosto che a quella greca e minacciavano, in caso di mancata rimozione di Narsete, di consegnare Roma e l’Italia ai Barbari («Liberaci dalla sua mano, oppure, senza fallo, consegneremo la città di Roma e noi stessi ai Barbari»).

Secondo una leggenda narrata da Paolo Diacono, l’Imperatore accolse le lamentele degli italici e si adirò talmente con Narsete che lo destituì sostituendolo con Longino, pretorio d’Italia. Narsete, allora, adirato, si ritirò a Napoli da dove scrisse ad Alboino, re dei Longobardi, affinché invadessero l’Italia.

In qualche modo, dunque, gli italici erano stati accontentati poiché nel 568, in Italia i Longobardi discesero per davvero. In breve conquistarono Tortona, Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena, e assediarono Pavia che, dopo tre anni di assedio, crollò. Lo stesso anno in cui Pavia fu conquistata, il 272, cadeva anche Imola.

Rimanevano, in mano bizantina, Ravenna, il ducato romano, Padova, Monselice e Cremona, Genova, l’isola comacina (alla fine conquistata da Autari nel 568) e Susa.

Il bizantino Maurizio, salito al potere, cercò di riformare l’ordinamento provinciale di quanto loro rimaneva: istituì così la nuova carica, quella dell’esarca, nel 584 ca.

Con piena autorità sia civile che militare, l’esarca risiedeva a Ravenna ed era assistito in ambito civile dal prefetto del pretorio.

L’Italia bizantina venne così suddivisa in vari ducati, retti da dux o da magister militum: la Pentapoli, Istria, Napoli, Roma, Perugia.  Ogni città aveva il proprio esercito, alcuni soldati avevano origine orientale e si erano trasferiti in Italia durante la guerra gotica (es. Persoiustiniani e Cadisiani di Grado) mentre altri vennero creati in Italia (es. Tarvisiani, Veronenses e Mediolanses).

Nel 599 venne finalmente firmata una tregua tra Bizantini e Longobardi, in cui re Agilulfo ringraziò il Papa per la pace accordata, e gli promise che né lui né i suoi duchi l’avrebbero violata.

Tuttavia, nel marzo del 601, l’esarca bizantino di Ravenna Callinico inviò delle truppe a conquistare Parma, che venne occupata dai Bizantini; durante l’occupazione vennero fatti prigionieri il genero e la figlia del Re Longobardo Agilulfo, e furono condotti prigionieri a Ravenna.

Agilulfo ordinò allora ai suoi di assediare Padova, che finora aveva resistito alle incursioni dei Longobardi in territorio bizantino: Padova si arrese e Agilulfo, dopo aver concesso alla guarnigione bizantina di ritornare sani e salvi a Ravenna, ordinò che la città venisse rasa al suolo.

Seguirono anni di pace, segnati dalla nascita del primogenito di Agiulfo e Teodolinda, Adaloaldo, sino al successivo avvento di Rotari, che conquistò tutta la Liguria bizantina, dopo aver sconfitto l’esarca bizantino Isacco.

Nel 663 siunse allora, per la prima volta dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente l’imperatore Costante II in Italia. «La madre (Roma)» disse Costante «è più degna delle mie cure della figlia (Costantinopoli)».

Quella di Costante fu l’ultima vera e decisa azione dell’Impero Romano d’Oriente diretta a riconquistare i territori occidentali e a riaffermare nei fatti la superiorità formale dell’Impero. Consultato un eremita, avrebbe ottenuto, secondo Paolo Diacono, questa risposta:

«La gente dei longobardi non può essere vinta da nessuno, perché una regina, venuta da altri paesi, ha costruito nel loro territorio una basilica al beato Giovanni Battista, e perciò lo stesso beato Giovanni intercede continuamente a favore di quel popolo. Ma verrà un tempo quando tale santuario non sarà più tenuto in onore, e allora quella gente perirà.» (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, Libro V, Capitolo 6)

Costante decise di tentare lo stesso l’impresa, fronteggiando il duca di Benevento Romualdo, il quale, in sfavore numerico, inviò il suo nutricius Sesualdo dal padre Grimoaldo, re dei Longobardi, per chiedergli aiuto contro i Bizantini. Costante II, intanto, conquistava e radeva al suolo Lucera; in seguito, dopo un tentativo fallito di espugnare Acerenzia, assediò la città di Benevento senza successo:  Grimoaldo, che nel frattempo era accorso in aiuto del figlio, riuscì ad attraversare gli Appennini con il suo esercito nonostante l’esarca di Ravenna Gregorio II lo aspettasse al varco per impedirgli di raggiungere il ducato beneventano. Sesualdo, sulla via del ritorno, venne intercettato dai Bizantini, che vennero così a conoscenza della notizia dell’arrivo di Grimoaldo. Costante II inviò Sesualdo da Romualdo ordinandogli di mentire al suo sire; gli intimò di dire che Grimoaldo non sarebbe arrivato; se non avesse obbedito avrebbe perso la vita. Sesualdo però disubbidì all’ordine bizantino e disse la verità a Romualdo:

«Sta saldo e pieno di fiducia, o signore mio Romoaldo, e non essere angustiato, perché tuo padre sarà presto qui a darti aiuto: devi sapere, infatti, che questa notte egli sosta presso il fiume Sangro con un forte esercito. Ti prego solo di avere misericordia per mia moglie e i miei figli, perché questa perfida gente non mi lascerà in vita.» (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, Libro V, Capitolo 7)

Sesualdo pagò ciò con la morte: venne decapitato e la sua testa lanciata da una catapulta in città.

A causa dell’arrivo di Grimoaldo, Costante II firmò una pace con Romualdo, pose fine all’assedio di Benevento e decise di recarsi a Napoli. Durante il tragitto venne aggredito e sconfitto presso Pugna dal Conte di Capua Mitola. Giunto a Napoli, Costante II fece un ultimo tentativo per conquistare il ducato affidando un esercito di 20.000 uomini al comando del nobile Saburro e inviandolo in territorio longobardo ma quest’ultimo si fece sconfiggere dai Longobardi di Romualdo a Forino, ponendo fine alle speranze bizantine di riconquista dell’Italia. L’imperatore in seguito si recò a Roma, dove rimase per dodici giorni; il soggiorno del basileus nell’antica capitale dell’Impero romano è ricordato da un lato per essere stata l’ultima visita di un imperatore romano nella “Città Eterna”, dall’altro lato per il letterale saccheggio del Pantheon, i cui ricchi ornamenti vennero portati via su ordine dell’imperatore. Dopo essersi reso conto che la Città Eterna non era adatta come capitale dell’Impero, stabilì conseguentemente in Sicilia, precisamente a Siracusa, la nuova sede imperiale con l’intenzione di organizzare una vasta azione militare anti-musulmana volta a riconquistare il controllo del Mediterraneo. Nel 665 Costante saccheggiò le chiese in Sicilia e alzò le tasse, ma il suo malvisto regno terminò tre anni dopo, quando un servo lo assassinò nella sua vasca da bagno. Il di lui figlio, Costantino IV, sbarcò allora in Sicilia per vendicare Mecezio, uno dei congiurati di suo padre, che si era autoproclamato imperatore: Costantino IV lo decapitò.

Seguì, nel 680, un trattato di pace tra Longobardi e Bizantini. Sette anni dopo, il re longobardo Grimoaldo, riconquistò gran parte dell’Italia meridionale, preparando il terreno per l’apogeo del regno longobardo che si avrebbe avuto con Liutprando, il quale, nel 716, guerreggiò con l’esarca bizantino per il possesso di Classe e della Romagna. Sfruttando i contrasti in merito all’iconoclastia, Liutprando attuò diverse conquiste, mentre innumerevoli rivolte tra sostenitori del papato, Longobardi e Bizantini, dilaniavano l’Italia centro meridionale.

Liutprando approfittò di queste rivolte, per conquistare l’Emilia, Feronianum e Montembellium, Buxeta e Persiceta, Bononiam e Pentapolim Auximum e a donare, per salvare le apparenze e atteggiarsi a protettore dei cattolici, il borgo di Sutri al Pontefice.  L’immenso potentato in Italia ottenuto da Liutprando, costò ai Longobardi l’ostilità della Chiesa che, ormai ostile anche ai Bizantini, puntò gli occhi su un nuovo difensore: i Franchi.

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