L’Impero Romano nella tempesta

Indagine storico – politica sul tramonto dell’Impero Romano 

In Oriente la situazione era, da almeno un ventennio, labile: dalle steppe euroasiatiche gli Unni si erano rovesciati, nel 375, sugli Alani e sui Goti del Don (del gruppo Ostrogoto, cioè “stanziati a Oriente”): questi ultimi si erano quindi spinti sui Visigoti, (Goti occidentali), i quali, nel 376 avevano implorato l’imperatore Valente di accoglierli nell’Impero Romano: Valente aveva acconsentito che fossero stanziati an Sud del Danubio e in numero enorme i Visigoti avevano attraversato il fiume. A differenza, però, di quella che avrebbe dovuto essere la prassi di Roma, i Visigoti non furono disarmati. Questo fu subito causa di un dissidio: in breve si arrivò al conflitto tra Roma e la popolazione che Roma stessa aveva accolto dentor i suoi confini. Nel 378, presso Adrianopoli, le forze dell’imperatore Valente furono annientate da quelle visigote e l’imperatore stesso morì in battaglia. La sconfitta di Adrianopoli aveva fatto comprendere a Roma quanto ella fosse ormai costretta a scendere a compromessi coi Germani. Nel 382 l’imperatore Teodosio I accolse – costretto- i Visigoti dell’odierna Bulgaria entro i confini di Roma. Due anni dopo Teodosio moriva: i Visigoti si ritennero sciolti dal patto concluso con l’Imperatore defunto. Lo stesso anno diveniva re dei Visigoti Alarico.

Con la scomparsa, nel 395 d.C. dell’imperatore Teodosio, l’impero fu diviso, secondo la volontà del defunto, tra i suoi due figli maschi: a Onorio fu affidato l’Occidente, con capitale a Milano, a Arcadio l’Oriente, con capitale a Costantinopoli.

Nell’esercito romano Gli ausiliari barbarici impiegati crescevano di numero, anche all’interno delle gerarchie militari: figlio di un ausiliario vandalo in Germania era, appunto, Flavio Stilicone, luogotenente e coreggente dell’Imperatore Onorio, che si considerò, però, sempre romano e si impegnò a mantenere rapporti col crudele e spregiudicato visigoto Alarico, che alla fine sconfisse in due grandi battaglie nell’Italia settentrionale (rispettivamente nel 402 e nel 403), nessuna delle quali fu, purtroppo, decisiva.

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Flavio Stilicone con la Moglie Flavia Serena e il figlio Eucherio – Monza, tesoro della Cattedrale

Attraversate le Alpi orientali, I Visigoti erano penetrati in Veneto, avevano Milano e l’avevano stretta d’assedio. Stilicone aveva liberato la città mentre il giovane imperatore Onorio, terrorizzato, aveva spostato la capitale a Ravenna, credendo che confidando nella protezione naturale delle paludi.

L’esercito di Stilicone contava su federati (popolazioni che non si riusciva più a tenere al di là dei confini) sia di origine franca sul basso Reno, sia di origine gota sul medio e basso Danubio. Era tuttavia soprattutto in Gallia che personaggi di stirpe franca ottenevano, in quegli anni, poteri militari, attraverso i quali essi poterono immettersi nella burocrazia civile e condizionare, così, le sorti politiche dell’Occidente.

A Pollenzo, con un esercito di federati franchi, germanici e persino Unni e schiavi affrancati, Stilicone inflisse la battaglia decisiva ad Alarico, sconfiggendolo.

Proprio in quel periodo, però, la frontiera del Reno, cedette. Vandali, Alani e Svevi, nonostante la strenua resistenza di federati franchi, penetrarono con irruenza nei confini romani. A loro volta erano stati inseguiti dagli Unni, nelle regioni danubiane.

L’invasione barbarica che nel 406 sfrondò il fronte del Reno, implicò il fallimento della concezione strategica difensiva dell’impero.  il relativo equilibrio che si era instaurato tra genti romane e germaniche, parzialmente controllate da patti militari e concessioni terriere, fu infranto da un movimento di nomadi, provenienti dalla Mongolia al Mar Nero.

Il 31 dicembre del 406, di notte, Vandali, Alani, Suebi e Burgundi sorpresero la guarnigione romana di Mogontiacum e la massacrarono. Si espansero così in tuttala Gallia, saccheggiandola e devastandola, causando immani massacri. Un altro generale goto, Radagaiso, comandò la distruzione della Gallia.

Non si trattava più, come era accaduto nel secolo III, di incursioni pur violente ma saltuarie, bensì di popoli che, questa volta, esigevano di stanziarsi perennemente all’interno dei confini romani. Roma, dal canto suo, non poteva più offrire un contrattacco simultaneo e sterminatore – come era accaduto, molti secoli prima, con Gaio Mario contro i Cimbri e i Teutoni – per la simultaneità e la molteplicità di siffatte barbare e nuove irruzioni.

Inoltre, le popolazioni delle regioni mediterranee erano pacifici coltivatori: impensabile farne immediatamente dei guerrieri contro l’urto violento degli invasori.

Roma integrava perciò i suoi soldati con federati, ed evitava il massacro dei vinti: così faceva Stilicone che, anzi, cercava tra i vinti nuovi alleati. Questa strategia “pacifista” gli attirava, forse senza che egli se ne avvedesse, l’odio della corte Ravennate, fortemente antibarbara. Inoltre, Stilicone, si stava ormai preparando per raggiungere – curiosamente – Alarico in Epiro per condurre una guerra contro un usurpatore al trono d’Oriente, ma, su esortazione di Onorio si trovò a condurre una campagna militare contro un altro usurpatore, Costantino, in Gallia. Contro l’usurpatore Costantino, Stilicone avrebbe voluto impiegare proprio i federati di Alarico. A causa della guerra fraterna tra Onorio e Arcadio, nonché del patteggiare coi barbari a parte di Stilicone, avverso sia ai cristiani che ai pagani, Stilicone fu violentemente eliminato nel 408, assieme alla sua famiglia. Le famiglie di quelli che erano stati i suoi foederati si vendicarono andando ad ingrossare le fila dell’esercito di Alarico che, appena due anni dopo, marciò contro Roma, saccheggiandola.

Stilicone era morto anche perché l’Occidente aveva guardato all’Oriente: quest’ultima parte dell’impero aveva visto il trionfo dell’intransigenza antigermanica ed il massacro – anziché scendere a patti come invece aveva fatto Stilicone – di migliaia di Goti. Pertanto a Ravenna, per “contrasto” era cresciuta l’ostilità contro il suo generale.

Dopo l’eliminazione di Stilicone, a Ravenna si continuò tuttavia ad alternare guerre ed alleanze coi Germani e con Unni. Emblema di questo periodo fu un altro generale, Flavio Ezio, di origine bulgara, che a quindi anni era stato dato in ostaggio ad Alarico e a diciotto presso gli Unni di Rua. Quando nel 423 l’imperatore Onorio morì, Ezio, che già aveva dimostrato le sue doti militari, scese a patti con la reggente in nome dell’impero – minorenne – e sorella del defunto Onorio, la celebre Galla Placidia e, per le sue indubbie capacità militari, conseguì numerose vittorie contro i barbari, la più importante delle quali, nel 451 ai Campi Catalaunici contro gli Unni di Attila. Fu però fatto uccidere dall’imperatore Valentiniano, nel frattempo divenuto maggiorenne, in seguito a una discussione.

Tra invasioni e congiure di corte, crollava così l’impero romano. A Costantinopoli, Teodosio II, figlio di Arcadio e sua zia Galla Placidia – reggente in nome di Valentiniano III (il mandante dell’esecuzione di Ezio) – tenevano le redini del potere: l’Italia cominciò allora a oscillare tra una subordinazione a Costantinopoli e una convivenza con le forze germaniche: sarebbe, nel secolo successivo, il VI, stata infatti divisa tra queste due aree di influenza.

Nel frattempo cresceva in Occidente una nuova unità istituzionale, fondata sull’organizzazione ecclesiastica episcopale, che sarebbe stata la mediazione tra germanesimo e latinità. La comunità cristiana di Roma, greca di lingua e di cultura, divenne schiettamente latina dal III sec d.C. e fuoriuscì dal confine greco orientale che la implicava. Nacque così il primato del vescovo di Roma, incrementata (e limitata) dal Primato d’Onore ovvero il riconoscimento della supremazia del vescovo di Roma (che avrebbe rotto il proprio limite, sconfinando nell’Impero, con la riforma gregoriana) di contro alla sede di Costantinopoli. D’altronde, la teoria dell’attribuzione del “primato” alla sede romana era già idea nata con Cipriano di Cartagine nel III sec d.C: verso la metà del V secolo, con Papa Leone Magno, nacque invece il concetto di Papa come applicabile solo al vescovo di Roma (mentre prima era applicabile a qualunque vescovo), in virtù, appunto, del primato romano, sancito anche dall’imperatore Valentiniano III.

Mentre l’Oriente riconosceva a Roma un primato d’onore, nei concili convocati dall’Imperatore questo primato diveniva universale. L’ambiguità del mondo romano italico tra l’influenza della corte di Bisanzio e il primato romano, confortò l’emergere di un occidente gravitante sulla Gallia.

 

Bibliografia:

La nascita dell’Europa, Selezione dal Reader’s Digest S.P.A. – Milano

Tabacco, Regno, impero e aristocrazie nell’Italia postcarolingia, in Id., Sperimentazioni del potere nell’alto medioevo, Torino, Einaudi 1993, pp. 95 – 118.

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