Anno Mille | Gregorio VII vs Enrico IV così si Infranse il Sogno Alto medioevale di un Impero Cristiano

Enrico IV e Gregorio VII Dopo una reggenza per conto della madre Adelaide, il ventenne Enrico IV, raggiunta la maturità, salì al trono imperiale. Negli stessi anni salì al soglio petrino, succedendo ad Alessandro II, con il nome di Gregorio VII, il quasi sessantenne Ildebrando di Soana. Gregorio VII, al corrente delle condizioni del clero, dell’Impero, della pataria milanese e della questione normanna, era ardente di riforma e di guerresca pace; piccolo di statura e meschino d’aspetto: in altro risiedeva la sua grandezza. Con lui la riforma acquisì ben altra dimensione (politica): comprese che il nodo del problema fosse l’investitura.  Era inutile tuonare contro la Simonia, quando si permetteva l’investitura di un beneficio ecclesiastico da parte di un laico: l’investitura comportava infatti la sottomissione del beneficiario (il vescovo) ad un laico (spesso l’Imperatore), quando invece il clero doveva obbedienza solo al Papato e la Chiesa non poteva essere sottoposta ad alcuno, fuorché Dio.

La teoria dietro la formulazione gregoriana gettava le sue radici nel cristianesimo delle origini: era, infatti, quella di Papa Gelasio (vissuto nel V sec. d.C.) del duo quippe sunt ovvero del parallelismo tra l’auctoritas sacrata pontificum e la regalia potestas che culminavano nella sede romana e del principe romano. Papa Gelasio, infatti, ispirato dalla teoria di Eusebio di Cesarea che vedeva, nell’(allor) nuova Roma cristiana, il connubio perfetto tra Papato e Impero. il problema era che, in quei cinquecento anni che erano intercorsi tra Gelasio e Gregorio, non era mai più sorto nulla di simile all’Antico Impero romano. L’impero era infatti una piccola monarchia itinerante accompagnata dai propri chierici di corte (esercitanti il loro ufficio in cappelle fiscali e palatine).

Inoltre, sia per Papato che per Impero, lo scopo era quello, comune, di protezione dei deboli e conforto dei giusti, pur confrontandosi nella loro diversa natura, rispettivamente sacerdotale e militare.

Proprio in merito a ciò, il già citato Pier Damiani, in una lettera a Enrico IV accusava l’Imperatore di non combattere i nemici del sacerdozio, compito che, pur essendo Enrico un laico, gli spettava in quanto imperatore. “Cur armaris, si non praeliaris?” chiedeva Pier Damiani a Enrico IV, riprendendo il tema della Spada, proprio dell’epistola di San Paolo ai Romani “non enim sine causa gladium portat. Dei enim minister est, vindex in irma ei qui malum agit.” Era lo stesso pensiero con il quale Gregorio VII rimproverava la presunta ignavia del re di Francia Filippo. Nella definizione del potere regio ed imperiale, dunque, la metafora della spada coglie la struttura fondamentale di entrambi i poteri.

Il papato gregoriano assumeva così la concezione, che era stata propria dell’Impero ottoniano e post ottoniano, egemonica della cristianità e si trovava ad esser, quindi, destinato a proteggere la cristianità e a dilatare la suddetta idea di missione. Il papato gregoriano si andava, quindi, sovrapponendo e sostituendo all’Impero mettendo alla berlina la virtualità dell’Impero ed accentuando, invece, la propria concretezza.  Si trattava dell’imitatio imperii, ovvero la rivendicazione del potere coattivo da parte del Papato che gli consentivano di opporsi all’Impero. l’Impero, nell’ottica gregoriana, sarebbe rimasto in una posizione privilegiata ma comunque subordinato alla sede apostolica, alla quale era legato da un vincolo, appunto, di preminenza.

Sul finire del 1073 Gregorio VII intervenne nl sanguinoso conflitto in Sassonia tra l’imperatore e i feudatari, ed ordinò una tregua, promettendo giustizia. L’intervento papale in un alquante desolante conflitto civile, sancì la promessa, da parte del pontefice, di giustizia, non già divina ma umana: quella ce a prima vista sembrerebbe un’interferenza pontificale, era, in realtà, un semplice appello alla pace che, come nelle parole di Pier Damiani, avrebbe trovato accoglienza proprio per la sua semplicità.

Nel 1074 Gregorio VII inviò una lettera ad Enrico IV, riferendosi agli “italici” e agli “ultramontani” come entrambi disposti a partire per una spedizione d’oltremare per proteggere i cristiani dalle scorrerie islamiche: era la prima idea di Crociata che si andava formulando. Scriveva Gregorio che gli uomini erano disposti a partire “armata manu contra inimicos Dei volunt insurgere et usque sepulchrum Domini piso ducente pervenire” chiarendo, anche in rapporto alla spedizione militare, il proprio, nuovo orientamento: la chiesa di Roma avrebbe realizzato in se stessa l’idea dell’Impero come vertice universale di potenza, supremazia che si vedrà nella successiva deposizione, da parte del Papa, dell’Imperatore, che mai, prima di allora nella storia, si era vista.

Dal grande movimento riformatore sfociò così la concezione ierocratica del potere ecclesiastico.

Nel 1075 Gregorio VII emanò così un Concilio Laterano, proclamando, nel Dictatus Papae, la condanna d’ogni forma d’investitura che i laici da allora innanzi avrebbero osato esercitare nei confronti del potere ecclesiastico. L’ingiunzione, tuttavia, privava l’Impero del supporto vescovile.

Nel 1076 Enrico IV, a Worms, convocò allora a concilio i vescovi di Germania ove il Pontefice fu deposto, in quanto fomentatore di disordini politici. Il Papa rispose con la scomunica all’imperatore.

Scomunicando Enrico IV, Gregorio VII scioglieva così dall’obbligo di fedeltà tutti i sudditi di Enrico. Immediatamente, i grandi feudatari laici, italici e tedeschi, si ribellarono ad Enrico. Così l’Imperatore fu costretto a chiedere al Pontefice la revoca della scomunica.

Gregorio VII oppose ad Enrico IV come nuovo imperatore Rodolfo di Svevia, (che in seconde nozze aveva sposato la suocera di Enrico IV, Adelaide di Savoia) che dal 15 marzo 1077 al 15 ottobre 1080 fu di fatto l’anti imperatore di Enrico IV. In questi tre anni Enrico e Rodolfo si combatterono strenuamente lungo l’Italia e la Germania, vincendo alternativamente, sino a che Rodolfo fu ucciso in battaglia dopo che gli fu tranciata la mano destra, presagio che fu visto, dai difensori di Enrico, come punizione divina poiché con quella mano aveva prestato giuramento contro l’Imperatore. Tra i suddetti difensori dell’imperatore vi era – curiosamente – anche un giurista ravennate, Pietro Crasso, che nella Defensio Henrici IV pose in relazione le due leges, religiosa e civile, destinate a governare gli uomini, ponendo in rilievo il diritto romano che offriva legittimità all’azione dell’Imperatore.

L’incontro a Canossa Enrico IV comprese che doveva giocare il tutto e per tutto pur di ottenere la revoca da quella pericolosa scomunica: nel gennaio del 1077 varcò le Alpi, scese verso l’Appennino – Tosco Emiliano e, nell’attuale zona dell’appennino reggiano, si recò al castello della contessa Matilde, a Canossa, ove, saputa della sua discesa, soggiornava il Papa Gregorio. Enrico si gettò nella neve, scalzo e vestito solo d’un saio, per implorare al Papa di revocargli la scomunica. Per lui intercedettero la suocera Adelaide di Susa, madre della di lui seconda moglie Berta di Savoia, l’abate Ugo di Cluny, il cognato dell’imperatore e figlio di Adelaide, Amedeo di Susa sino a che Matilde di Canossa, cugina dello stesso Enrico e amica devota ed intima di Gregorio VII, intercedette per Enrico chiedendo al Papa di accoglierlo. Enrico aveva 27 anni, Matilde 31 e Gregorio sessanta. Quella notte d’inverno, al castello di Canossa, il banchetto fu animato dalle suddette personalità, nella labile e precaria speranza d’aver trovato concordia.

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L’incontro a Canossa in una miniatura dell’epoca: al centro Matilde di Canossa, alla sua destra Papa Gregorio VII; inginocchiato Enrico IV

Enrico recuperò il trono e riprese ad esercitare le sue funzioni, tornando a conferire cariche ecclesiastiche ai vescovi. Si attirò così una seconda scomunica, nel 1080, che questa volta Enrico accolse con ben più vigore, scendendo, nel 1084 a Roma e cingendola d’assedio. Gregorio VII riparò a Castel Sant’Angelo, da cui poté uscire solo scortato dai Normanni di Roberto il Guiscardo: dovette lasciare Roma, a cavallo, come un prigioniero e seguire i suoi liberatori a Salerno, ove nel 1085 lo colse la morte.

Alla suprema umiliazione dell’imperatore a Canossa susseguì la suprema umiliazione del Papa con l’esilio a Salerno. Il sogno altomedioevale dell’Impero cristiano era infranto, per sempre.

Nella sentenza sinodale romana del 1080 Gregorio VII urlò a gran voce la supremazia ecclesiastica “agite, nunc, queso patres et principes sanctissimi, ut omnis mundus intellegat et cognoscat quia, si potestis in celo ligare et solvere, potesis in terra imperia, regna, principatus, ducatus, marchias, comitatus et omnium hominium possessiones pro meritis tollere uniquique et concedere!” il Pontefice andava ben oltre la formulazione di Pier Daminai: quivi giustificando l’allontanamento di Enrico IV dal trono, sosteneva che tal fatto fosse avvenuto per difendere l’autonomia dell’ordinamento ecclesiastico.

Gregorio VII aveva quindi demistificato l’Impero, aveva ad esso tolto credibilità, agendo senza alcun riguardo nei confronti dell’istituzione imperiale: aveva, insomma, tolto all’Impero la credibilità di cui esso necessitava per costruire e mantenere le proprie alleanze feudali.

Come aveva potuto Gregorio VII rendere ad Enrico IV un regno vuoto e depauperato della sua potenza? aveva agito in atto, a favore del Pontefice, il mutamento della sensibilità cui si stava assistendo da quasi un secolo: l’elementare dimostrazione delle crudeltà delle stragi che, come diceva Pier Damiani, il linguaggio dei principi copriva sotto parole solenni, aveva reso palese le violenze del mondo, di cui l’Impero si rendeva colpevole. A questo movimento, oltre alla pataria e ai movimenti pauperistici, si accompagnava la nascita di un culto nuovo, all’interno del cristianesimo, più attento all’umanità sofferente del Cristo e, quindi, alla terrena sofferenza.

Enrico V Nel frattempo, in Germania, i feudatari si erano sollevati contro Enrico IV, il quale, vittorioso nel 1084, dovette abdicare, nel 1106, a cinquantasei anni, per lasciare il trono al figlio, che gli si era rivolto contro, e che salì al trono con il nome di Enrico V, il quale, riconoscendo Matilde di Canossa con il titolo onorifico di Regina d’Italia, divenne imperatore. Anche Enrico V scese due volte in Italia e occupò Roma, creando un antipapa in opposizione al pontefice, ma ormai l’evento epocale che sarebbe andato sotto il nome di lotta per le investiture sarebbe volto al termine con il Concordato di Worms del 1122, che riconosceva che solo la Chiesa potesse provvedere a concedere benefici agli ecclesiastici, con l’apparente eccezione della Germania, nella quale sì l’imperatore avrebbe potuto concedere per primo il beneficio all’ecclesiastico prescelto ma solo per i candidati già prescelti dalla Chiesa. Entrambi i partiti si dichiararono vincitori ma la vera potenza che ne usciva indipendente e vincente era la Chiesa.

La rivalità tra le aspirazioni egemoniche dell’Impero (che sarebbero riemerse con gli Svevi) e la funzione imperiale del papato, sollecitata dalla carenza dell’impero come guida temporale della cristianità, avrebbe inaugurato un dissidio che mai più sarebbe stato sanabile, se non in una nuova idea di cristianità, nella quale sarebbe stata comunque egemone la Chiesa e che già aveva visto i propri albori nella lettera di Gregorio VII a Enrico IV del 1074: l’idea di Crociata.

 

Bibliografia:

  1. Tabacco, autorità pontificia e impero, in Id., Sperimentazioni del potere nell’alto medioevo, Torino, Einaudi, 1993, pp. 209 – 242
  2. Tabacco, Alto Medioevo, a cura di G, Sergi, UTET, Torino, 2010
  3. Desideri, M. Themelly, Storia e Storiografia, primo tomo, G. D’Anna, Messina – Firenze, 2011

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