L’Italia post carolingia e pre otoniana

Tra il Sacro Romano Impero e il Sacro Romano Impero di Nazione Germanica,  ovvero tra Carlo Magno e Otone I avvennero troppe, terribili vicende. Tra esse, un processo ad un cadavere

888-962 d.C | L’Italia tra l’età postcarolingia e l’avvento di Otone I: cosa accadde in quel lasso di tempo?

Quando Carlo Magno aveva conquistato il Regnum Longobardorum, il nuovo Regnum Italiae che comprendeva l’Italia settentrionale, dal Piemonte al Friuli, l’Emilia fino a Modena, la Toscana, le Marche e l’Abruzzo, era sempre stato appannaggio franco, intrecciandosi, al centro, con il Patrimonium Petri. A Carlo Magno successe Ludovico il Pio e questi divise il regno tra Ludovico il Germanico, Carlo il Calvo e Lotario, a quest’ultimo, imperatore, andò quindi l’Italia. A Lotario successe Carlo il Grosso, che tentò di riunire l’impero, ma fu spodestato dal conte Oddone di Parigi nel territorio dei Franchi occidentali e dal nobile Arnolfo nel territorio dei Franchi orientali mentre l’Italia, alla sua morte, fu contesa da pretendenti al trono allogeni.

Cosa dunque accadde all’Italia in quel lasso di tempo tra l’ultimo imperatore del Sacro Romano Impero e l’avvento di Otone I, capostipite del Sacro Romano Impero germanico?

Berengario I Re del Friuli e Guido da Spoleto – Dall’888 al 962 il trono del Regnum Italiae, con capitale a Pavia, fu conteso da Berengario re del Friuli e Guido, duca di Spoleto. Berengario fu incoronato re d’Italia nell’888, ma Guido gli successe al trono, avvantaggiato dal buon rapporto che aveva col Papato: nell’891 ottenne la corona imperiale e nel 892 si associò al trono il giovanissimo (era adolescente) figlio Lamberto. Berengario, ritiratosi a Verona, teneva però la dominazione del Friuli, Padova, Cremona e Brescia, mentre Guido l’Italia centrale.

Fu durante l’età di Berengario I che in Italia si manifestò una dispersione di poteri pubblici non mai prima di allora sperimentata, nonché anomalie giuridiche nel regno.

Arnolfo e Papa Formoso – Nell’894 il teutonico Arnolfo di Carinzia (che aveva spodestato Carlo il Grosso dal trono di Germania) e suo figlio Zwentiboldo scesero in Italia, ma non riuscirono a vincere Guido, il quale tuttavia, quell’anno, morì. Berengario tentò di occupare Pavia, ma fu sconfitto da Lamberto, forte del sostegno dei vassalli di suo padre, a lui ancora fedeli; quindi si recò allora a Roma perché Papa Formoso lo incoronasse imperatore del Sacro Romano impero, ma il Pontefice, temendo l’arrivo di Arnolfo, tergiversò. Papa Formoso fu così, da Lamberto, imprigionato in Castel Sant’Angelo: due anni dopo, nel 896, fu liberato da Arnolfo: Formoso, per riconoscenza, lo incoronò imperatore. Neanche un anno dopo Papa Formoso moriva (forse avvelenato) e Arnolfo, colpito da un ictus, si ritirava in Germania. La madre di Lamberto, Agertrude,  vedova di Guido da Spoleto, furiosa con il defunto Papa Formoso che aveva incoronato Arnolfo imperatore anziché suo figlio, ottenne dal successivo e suo alleato Papa Stefano VI, che il corpo di Papa Formoso fosse riesumato, processato in San Giovanni Laterano (con l’accusa di aver usurpato il soglio pontificio in quanto era già vescovo, al momento dell’elezione, della diocesi di Porto) e, ritenuto colpevole, gli furono amputate le tre dita della mano destra e fu gettato nel Tevere (solo un anno dopo, dopo che anche Papa Stefano VI è morto – forse strangolato – il successivo Teodoro II riesce a riabilitare le ossa di Formoso e a seppellirle in San Pietro).

Otone
Concilio Cavaderico“, Jean – Paul Laurens (1870), Nantes, Musée des Beaux Artes

La morte di Lamberto da Spoleto – Berengario re del Friuli si trovò a governare a Nord dell’Adda (pur sconfitto, sul Brenta, dagli Ungari), mentre Lamberto, figlio del defunto Guido, governava a Sud. Il successivo Papa Giovanni IX (succeduto a Teodoro II) dichiarò nulla l’incoronazione di Arnolfo e appoggiò Lamberto il quale, tuttavia, morì improvvisamente, cadendo da cavallo e rompendosi il collo. Secondo Liutprando da Cremona, fu ucciso da Ugo di Mangifredo, (che voleva vendicarsi dell’uccisione di suo padre), capostipite della casata dei Mirandola.

Un regno sfaldato – la rottura d’equilibrio tra res pubblica e potentes (si veda sotto) si manifestò nell’egemonia dei vertici marchionali dell’aristocrazia transalpina che sostennero, a seconda delle potenti dinastie (gli Unrochingi in Friuli, i Guidoni in Toscana e gli Adalberti in Spoleto) i sovrani che si contendevano la corona italica. La formazione di aree egemoniche si evince soprattutto dalla fedeltà dei friulani Unrochingi nei confronti di Berengario. Così, la divisione dell’Italia tra Berengario e Guido, dopo il rientro in Germania di Arnolfo, rende chiara le zone di influenza su cui regnavano i sovrani, anche e soprattutto in virtù delle alleanze stipulate coi potentes.

Unità Carolingia persistente – I capitolari di Guido da Spoleto e del figlio Lamberto, redatti nel solco della tradizione franco longobarda del regno carolingio di Pavia, mostrano la persistenza dell’unità carolingia della costruzione imperiale dei Franchi, ovvero l’equilibrio tra autorità regia e aristocrazia fondiaria. Nel documento stesso di elezione di Guido al trono di Pavia, nell’889, è infatti significativa la richiesta di protezione delle chiese assieme alla protezione di tutta la popolazione dei liberi. Due anni dopo, nell’891, Guido emanò a Pavia un capitolare dove indicava i suddetti liberi protetti col termine longobardo di arimanni, (esercitali soggetti agli obblighi di presenza e prestazione nell’esercito e nei placiti pubblici), termine che ritorna anche nel capitolare dell’898 emanato dal figlio e successore Lamberto a RavennaGuido emanò inoltre a Modena un altro capitolare in cui a favore della Chiesa confermava i privilegi acquisiti aggiungendovi proventi pubblici e la potestà di costruir fortezze e scavar fossati. Le concessioni alle chiese si sarebbero moltiplicati con Berengario I.  

Pavia – la capitale del regno Italico restava Pavia, in virtù del suo palatium centro politico – amministrativo funzionante da oltre due secoli: un diploma emanato proprio da Berengario I nel 902 si riferisce al Platio Ticinensi affermando quod est caput regni nostri. Suprema manifestazione dell’autorità regia era, infatti, il tribunale di Pavia, nel quale erano presenti i iudices sacri palatii o iudices domini regis.

Ludovico Re di Provenza e Rodolfo Re di Borgogna – Nel frattempo, Adalberto marchese di Toscana riuscì a riunire attorno a sé l’aristocrazia scontenta di Berengario per chiamare in Italia il Re di Provenza Ludovico, che governò dal 900 al 905.

Adalberto il Ricco – dopo l’improvvisa scomparsa di Lamberto, Ludovico di Provenza fu accolto come re d’Italia a Lucca, alla corte marchionale di Adalberto il Ricco. Ludovico, come racconta Liutprando di Cremona, fu talmente stupito dalla ricchezza di Adalberto, da sostenere che egli avrebbe potuto essere re al posto suo.  Questo fatto mostra il problema della coordinazione del potere regio con quello marchionale: le maggiori stirpi marchionali italiche del primo periodo postcarolingio erano tanto ricche quanto instabili. Presto, infatti, Adalberto morì e Ludovico non fu più fortunato. Quando Ludovico perse, nel 905, per la seconda volta, la battaglia contro Berengario e uscì terribilmente di scena (vedi sotto), Berengario si impadronì, riacquistata l’autorità regia, di Berta e di Guido, rispettivamente moglie e figlio di Adalberto il Ricco: fu costretto a liberarli per l’opposizione della dominazione marchionale: ulteriore dimostrazione di forza del principato territoriale. La convergenza fra il modello marchionale (emblematico nella Toscana degli Adalberti e i nuclei signorili ecclesiastici sarebbe ben presto sfociato in una tensione tra programma regio e orientamento comitale dinastico, tensione che sarebbe venuta meno con la fine di Re Ugo e l’avvento di Berengario.

Nel 905, persa per la seconda volta la battaglia contro Berengario, Ludovico di Provenza fu da questi fatto accecare, per essere venuto meno ai patti, e esiliato in Provenza.

Il regno di Berengario, persa l’unità carolingia, si andava sfaldandosi in un insieme caotico di poteri connessi con il grande possesso fondiario, e inquadrati, solo sommariamente, nell’ambito di un’autorità territoriale suprema.

Berengario del Friuli divenne così, a tutti gli effetti, Re d’Italia, sino al 915, quando riuscì a sconfiggere i Saraceni nel mezzogiorno ma l’esser sceso a patti con gli Ungari gli provocò la reazione di scontento dei sudditi, che, in funzione antiungarica e antiberengariana, chiamarono il Re di Borgogna Rodolfo che vinse contro Berengario a Fiorenzuola d’Arda, nel 923. Un anno dopo, Berengario fu ucciso a Verona. In quegli anni, gli Ungari devastarono pavia e Rodolfo tornò, deluso, in Borgogna. Più tardi (937) morì e la di lui vedova Berta (la cui figlia era Adelaide), andò in moglie a Ugo, conte di Provenza.

Ugo di Provenza – La vedova di Adalberto, Ermengarda Anscarici, chiamò allora in Italia suo fratello Ugo, Conte di Provenza, che sbarcò a Pisa nel 926. Sebbene acclamato dagli italici, li deluse, poiché instaurò un potentato governato solo dal suo parentado, nonché premiò un suo militare, Sansone, alla carica di Paladino che aveva invece violentemente represso una rivolta a Pavia. Nel frattempo, poiché il marchese di Toscana (successore di Adalberto) Guido era morto, Ugo ne sposò la vedova, (la celebre Marozia Teofilatto) e invase la Toscana, facendo imprigionare il legittimo duca, Lamberto (che era pure suo fratellastro), sostituendolo col fratello Bosone, dopodiché impose Tedaldo, suo parente nella marca di Spoleto-Camerino. Alberico, Il figlio di Marozia, però, guidò a Roma una sommossa contro Re Ugo il quale, però, si difese energicamente, sconfiggendo il Re che gli era stato opposto, Arnoldo di Baviera.

Roma era diventata un problema importante per un re Italico anche per la cresciuta pressione bizantina che si allargava dall’Italia meridionale a quasi la sede papale, mettendo a serio rischio l’Occidente latino-germanico. Riguardo la presenza ecclesiastica in Italia si stava aggravando l acontraddizione tra l’apporto dell’episcopato nell’affermazione di una res publica e l’acquisizione di beni in perpetuo da parte dei singoli enti ecclesiastici.

Una congiura a Pavia – Con Ugo di Provenza le contese per la corona regia e gli eventi bellici non interruppero l’attività del Palatio di Pavia: anzi i praepotentes iudices di Pavia, Walpertus e Gezo Everardo, provocarono una pericolosa congiura contro il re. E pensare che Liutprando di Cremona, nell’Antapodosis ne loda l’operosità e la fama in Pavia presso il popolo. Quel che si evince è che, in età carolngia, l’equilibrio tra la res publica protettrice ufficiale dei liberi e il rafforzamento della base economica dei potentes, protettori, a loro volta, di una classe di potenti, si era ormai rotto per sempre.  Ugo di Provenza assassinò, inoltre, il fratello del già scomparso Guido e figlio del sovracitato Adalberto il Ricco, Lamberto, e al trono delle Marche mise prima il fratello Bosone (padre di Villa, che sposerà il successivo Berengario del Friuli) poi, ucciso anche questi, pose come principe Uberto, (che sarebbe stato sconfitto da Berengario di Ivrea). L’indebolimento reciproco tra sovrani e marchiones impediva un normale funzionamento delle circoscrizioni comitali nonché la crisi dell’aristocrazia comitale. Il risoluto re Ugo immise elementi sia franco-italici che italici-longobardi che provenzali e borgognoni, ma la sua ambizione si sarebbe ritorta contro il re stesso.

Ugo affidò la marca d’Ivrea a Berengario (figlio di Gisla, figlia di Berengario I e di Adalberto d’Ivrea) al quale diede in moglie la nipote (figlia di suo fratello Bosone) Villa.  Figlio di Ugo era Lotario II al quale Ugo diede in moglie la figliastra (figlia di primo letto di Berta) Adelaide. Ugo governò sino al 943, tra crudeltà e scontento, ignorando che sarebbe stato proprio Berengario d’Ivrea a succedergli.

Mentre era marchese d’Ivrea, Berengario emanò un diploma nel 948 a nome di re Lotario e a profitto del conte di Parma Manfredo, concedendogli, dovunque questi avesse beni allodiali (propri) di edificare torri e castelli. Le fortezze nell’Italia postcarolingia, operavano in concomitanza con le dispersioni di beni e proventi e diritti fiscali, dispersione che, nell’età di Berengario, è documentata in modo impressionante.

Berengario d’Ivrea Re d’Italia – Berengario d’Ivrea, infatti, nel 942, fuggì in Germania, ove, protetto dal duca Ermanno di Svevia, strinse un rapporto con Otone I, poi, nel 945 ritornò in Italia, divenendo un punto di riferimento per tutti coloro che erano contro Ugo di Provenza raggiungendo un saggio compromesso (divenire primo consigliere del re, solo se Ugo avesse abdicato in favore del figlio Lotario), ottenne che Ugo fuggisse in Provenza, e, tre anni dopo, morto Lotario, Berengario d’Ivrea, nel 950 divenne re d’Italia, assieme al figlio Adalberto.

Adelaide – Morto Lotario, Adelaide si ritrovò era vedova: aveva solo vent’anni e Berengario la perseguitò poiché voleva costringerla a sposare il di lui figlio Adalberto, per fugare i sospetti che egli stesso avesse avvelenato Lotario. Adalberto Atto di Canossa salvò la giovane ex regina da un assedio, mentre il potente vescovo di Verona Manasse (che aveva tradito Ugo di Provenza in favore di Berengario) tradì ora Berengario in favore di Otone I.

Manasse – Durante la crisi di trasformazione del regno, l’episcopato assume una centralità contraddittoria, divenendo, allo stesso tempo, modello di autonomia di sviluppo. Otone, compreso molto bene questo punto, rafforzava qua e là il potere temporale conseguito dai vescovi localmente nel corso del regno italico indipendente, contribuendo in tal modo, forse senza avvedersene, di dilatare il loro ius distringendi, ovvero la loro capacità d’azione in una disarticolata res publica.  Il Palatium di Pavia, nel frattempo, andava in declino, per la crescente localizzazione di iudices sacri palatii o iudicess imperatoris a tendenza ereditaria.

Adalberto Atto di Canossa – primo conte di Mantova, capostipite dei Canossa (la celebre Matilde sarà una sua pronipote) era un Longobardo, vassallo del vescovo di Reggio e già in ascesa politico-sociale come accaparratore di terre dal valore più strategico che economico.

E fu proprio Otone I, di diciannove anni più vecchio di lei, che Adelaide sposò, divenendo, da regina d’Italia, imperatrice. Simbolo dell’opposizione a Berengario II in Italia e appartenente alla dinastia regia di Borgogna, Adelaide era la moglie ideale per assecondare il progetto di conquista di Otone, poiché gli offriva l’egemonia su tutti e tre i regni convergenti sulle Alpi: quelli di Germania (già otoniana) e quelli, della futura sposa di Borgogna e d’Italia.

Otone I – alle prese, però, con le opposizioni nel suo regno teutonico e ancora impegnato a sconfiggere gli Ungari, Otone I tornò in Germania, ma nell’agosto del 952, ad Augusta, stipulò un accordo che prevedeva il mantenimento della corona italica da parte di Berengario II, il quale doveva però riconoscersi vassallo di Otone I e vedere decurtato il suo regno di Verona, Trento e Friuli che sarebbero invece stati annessi al regno di Otone. Quando, nel 955 Otone sconfisse gli Ungari a Lechfeld e la Germania fu pacificata, allora potè discendere, tra l’agosto del 961 e il febbraio del 962, praticamente senza combattere a Pavia, ove venne riconosciuto Re sin dal 951 (anno in cui aveva sposato Adelaide), qui fece deporre, da un’assemblea di aristocratici del regno, Berengario poi, disceso a Roma, fu incoronato imperatore.

Durante il tramonto di Berengario e l’avvento di Otone I, le famiglie più eminenti del regno proseguirono nel radicamento territoriale senza curarsi del titolo pubblico, che spesso non era ancora, in esse, consolidato. Il particolarismo postcarolingio raggiunse il suo culmine alla fine del X secolo.

Brengario Re d’Ivrea e la regina Villa in fuga – nell’aprile del 862, dopo essere stato incoronato imperatore a Roma, Otone I risalì la penisola per sconfiggere definitivamente Berengario: non ci potevano essere, contemporaneamente, due re. Le milizie berengariane, inseguite da quelle otoniane, si divisero: il seguito del Re si arrestò nella Rocca di San Leo, in Romagna, i figli di sovrani in fuga, Adalberto e Guido, si rifugiarono sull’isola di Comacina, sul lago di Como mentre la regina Villa e il suo seguito si rifugiarono nell’isola di San Giulio, nel lago d’Orta. Fu qui, a Orta, che Otone puntò, poiché sapeva che con la regina stava il bottino. Quando la resistenza degli assediati era ormai allo stremo, la regina scese a patti con Otone, lasciando che il vescovo Liutprando facesse da intermediario: in cambio della garanzia data a Villa di poter raggiungere incolume il marito e della disponibilità di Otone di accogliere come vassalli i maggior esponenti dell’esercito berengariano, la guarnigione di Villa si arrese. Un anno e un mese dopo, nel maggio del 863, Berengario fu catturato dalla Rocca di San Leo e avviato con la moglie in esilio in Baviera, a Bamberga dove morirono pochi anni più tardi.

I figli di Berengario e Villa, reali sconfitti, Adalberto e Guido, non ebbero sorte migliore dei loro genitori: Adalberto ottenne qualche provvisorio successo diplomatico ma nel giugno del 965, a trentaquattro anni, fu sconfitto dal comandante ottoniano Bucardo di Svevia e tornò in Borgogna, patria dei suoi avi. Suo fratello Guido, all’età di venticinque anni, era morto in battaglia poiché aveva tentato di riprendersi la corona. Il sogno di una stirpe italica sul trono di Pavia era finito per sempre.

Chantal Fantuzzi

 

Bibliografia:

La nascita dell’Europa, Selezione dal Reader’s Digest S.P.A. – Milano

G. Tabacco, Regno, impero e aristocrazie nell’Italia postcarolingia, in Id., Sperimentazioni del potere nell’alto medioevo, Torino, Einaudi 1993, pp. 95 – 118.

2 pensieri su “L’Italia post carolingia e pre otoniana

  1. Chantal, sei una persona speciale. E forse troppo speciale per trovare spazio nell’informazione nazionale, dominio di personaggi mediamente tristi e altamente allineati alle idee di chi gestisce il potere, anche se è ottimistico supporre che costoro abbiano qualche idea degna di nota.
    Congratulazioni per il tuo egregio lavoro.

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